Togo, cane pacifistaa
Premessa
Il racconto « Borgo nella bufera » pubblicato a puntate su « Voci Amiche » è finito e modestamente posso dichiarare che ha suscitato vivo interesse nei « Borghesani » e in modo speciale in quelli che malauguratamnte e personalmente hanno vissuto e sofferto quella vicenda.
Ora, in attesa di preparare dell'altro materiale per un prossimo racconto di eventi bellici succedutisi nella mia Valsugana dal maggio 1915 a tutto il 1917 interrompo i racconti sempre drammatici e storici ma aridi di sentimento, freddi descrittori di avvenimenti bellici, dando alle stampe un altro tipo di racconto, denso di « umanità », ancorché avvenuto in pieno clima di guerra feroce e distruttiva e precisamente verso il Natale di sangue 1916.
Il fatti è storico e si verificò precisamente nel settore del Civeron, dove le linee italiane e quelle austriache distavano, in certi punti, solo qualche decina di metri creando delle situazioni assurde che solo un certo senso di umanità da parte dei due avversari rendeva meno drammatiche e meno pericolose.
Le conseguenze del fatto furono dolorose e il ricordo di esse circolò per molto tempo fra le truppe delle due parti benché la stampa, imbavagliata dalla censura, non ne abbia parlato.
Una conferma, però, che qualche cosa era trapelato anche in seno agli alti comandi me la da una lettera del signor Armando Guidoni da Roma, già ufficiale dell'830 Fanteria (Brigata Venezia) combattente in quell'epoca nella zona che dice di essere anche lui venuto a conoscenza del fatto e mi sprona a raccontarlo.
Il titolo del racconto mi ha messo un po' in imbarazzo, ma non ho trovato di meglio che questo:
« Togo, cane pacifista »
Correva l'anno 1916 e da oltre diciotto mesi la guerra infuriava nella Valsugana prima da Est a Ovest e poi viceversa, lasciando le sue tracce distruttive in tutti i paesi della valle, deserti ormai da mesi e ridotti, a eccezione del Borgo, a mucchi di rovine annerite dagli incendi e devastate
dalle artiglierie.
Dopo le battaglie del maggio-giugno 1916 le linee avversarie si erano stabilite definitivamente lungo le rive dei torrenti Maso e Chieppena. Solo nella zona delle « Mesole » il torrente Coalba che scende dai precipiti
valloni selvaggi di val Caldiera e val Maora faceva da confine tra le linee opposte.
Quelle austriache dalla confluenza del torrente Maso nella Brenta su per il ripido « menador » del « Boccardin » raggiungevano i prati del Civeron proprio nel punto dove questi discendono precipitosamente verso la Coalba e di là per la famigerata « Quota 1010 » sanguinosamente contesa dai due avversari, si arrampicavano vertiginosamente sul « Colazzo di Agnè » e di lì, con un altro
salto, al passo della Agnella per la Quota 2003 (2007 per gli Austriaci) si congiungevano alle linee che difendevano l'Ortigara sull'Altopiano dei Sette Comuni.
Le linee italiane, invece, dall'argine sinistro del torrente Chieppena, attraverso Villa, la stazione di Strigno (come caposaldo) e la sponda destra del torrente Coalba, attraverso i prati della rossa villa Floriani, si arrampicavano lungo le impervie pareti della val Maora, salivano fino alla cima del Campanaro (Mitra del Vescovo, per i Valsuganotti) sull'Altipiano e proseguivano verso sud attraverso cima Maora (cima Caldiera), cima della Campanella e cima Lozze.
Difendevano le linee austriache del Civeron due battaglioni di fanteria: il 10° del 59° Salisburghese (Rainer), e il 4° del 17°, Linz (Hessen).
Non ho precise notizie delle forze italiane Sono però certo che si trattava di truppe abbastanza consistenti: un forte contingente dell'83° Fant. (Brigata Venezia) e di un battaglione e forse più di bersaglieri.
Le linee avversarie, come descritto nel titolo, distavano in qualche punto solo qualche decina di metri ed i reticolati delle due parti erano un unico groviglio. Impossibile all'artiglieria tirare sulle opposte linee per il
pericolo di centrare le proprie. Quindi veniva sparata qualche fucilata di tiratori scelti attraverso le feritoie e qualche bomba a mano era lanciata oltre il breve spazio che separava le due linee.
Venne piano piano l'inverno e coprì con la sua foltissima coltre trincee, camminamenti reticolati, baracche, depositi. La vita in trincea si fece impossibile per il freddo. Girava solo qualche sentinella che imbottita come
un salame con grossi zoccoli di legno riempiti di paglia era rimpinzata di rhum o di grappa. Il resto della truppa era rintanata, al coperto, nelle capaci, accoglienti e tiepide baracche al riparo dai rovesci, fuori dall'angoscia della prima linea.
Da qualche tempo era giunto in linea, proveniente dal fronte russo, un giovane primo tenente del 17° Fanteria, Walter von Burggasser di Innsbruck, accompagnato dal suo fedele cane lupo « Togo ». I tempi erano duri per i soldati della duplice monarchia: si era in regime di blocco marittimo e i viveri scarseggiavano.
Anche le truppe al fronte ne risentivano e se non era proprio la fame, era qualche cosa che molto le somigliava. Durante l'autunno si erano arrangiati alla meglio, raccogliendo per conto loro i frutti delle campagne abbandonate, specialmente quelli che non erano stati seminati dall'« Anbau », quindi pere, mele, noci, castagne ecc. Ma poi era sopravvenuto l'inverno e quindi dovevano accontentarsi del magro rancio distribuito alla truppa. C'erano in abbondanza solamente sigarette, rhum e ..... munizioni. Naturalmente, benché cane del « signor Primo Tenente », Togo, oltre al resto, anche di grossa taglia, doveva accontentarsi degli avanzi della mensa ufficiali e di quelli della truppa, avanzi che, magri come erano i pasti, ancora più magri dovevano essere i resti, accuratamente spolpati. Il cane dimagriva a vista d'occhio e non era quasi più in grado di reggersi sulle zampe e di fare i soliti salti di gioia alla vista del padrone.
Stava quasi sempre accucciato nella baracca delle cucine, in vana attesa di qualche boccone sfuggito dalle mani dei cuochi, cercando di leccare con cura i fondi delle marmitte, fondi che sapevano più di rape e di barbabietole che di brodo. Un giorno finalmente si stancò di fare quella vita e, temendo di fare la fine del Conte Ugolino, sparì dalla circolazione. Il Primo Tenente Burggasser ne fece le più accurate ricerche e in modo speciale nei pressi della baracca della squadra d'assalto del Battaglione, famosa per le sue azioni guerresche ma ancor più per il sistematico saccheggio dei depositi di viveri che aveva la possibilità di trovare incustoditi, ma che poteva però essere stanca di scatolette contenenti sì e no un pezzette di carne di bufalo o di balena e il resto patate e fagioli e preferire una volta tanto, un bei pasto di carne fresca preparata come « Goulasch »: anche se di animale più nobile della vacca,
come sarebbe stato il cane del « signor Primo Tenente ». Dalla bestia, però, nessuna traccia: ne viva, ne morta. Rassegnato ormai alla perdita del suo fedele amico, l'ufficiale non ci pensò più sopra e considerò che, dopo tutto, era morto un cane e non un uomo.
Passò quasi una settimana e improvvisamente, una mattina, mentre imperversava una tormenta furiosa che non lasciava intravvedere un uomo a un metro di distanza, vide ricomparire sulla porta della baracca il suo Togo, ingrassato, con il pelo lucente, gaio e vispo come un lucarino e, appena visto il suo padrone, gli saltò addosso manifestandogli la sua gioia mentre dal collo, a mò di campanaccio gli pendeva qualche cosa che assomigliava stranamente a una pentola.
Incuriosito, l'ufficiale fermò il cane e, con meraviglia, si avvide che l'animale teneva attaccata a uno spago una capace gavetta italiana, chiusa accuratamente dal coperchio, assicurato a sua volta con un pezzo di fil di ferro. Tolto il coperchio, vide che il recipiente conteneva una razione abbondante di pasta asciutta, condita con ragù, formaggio e salsa di pomodoro. L'ufficiale non si fece pregare due volte e, benché i « signori ufficiali » non fossero abituati a mangiare dalla « gamèla », in un attimo ne vide il fondo dove era posto un biglietto. Lo aperse e vide che era scritto in italiano.
Non conoscendo la lingua, domandò in torno, tra la piccola folla di soldati accorsi incuriositi all'insolito spettacolo, se c'era qualche Trentino o Triestino che potesse dare una spiegazione del contenuto. Fortunatamente trovò un caporale di Bolzano che si disse in grado di tradurgli lo scritto. Il
biglietto diceva press'a poco così: « Il vostro cane, di cui non sappiamo il
nome, ci venne a fare visita cinque giorni fa e guaendo pietosamente ci fece capire di essere molto affamato, spiegazione del resto che avrebbe potuto risparmiarsi, in quanto la bestia somigliava più a una vecchia capra che all'amico fedele dell'uomo. Così lo abbiamo rifocillato ed egli, felice dell'esito della sua scappata, fece subito amicizia specialmente coi cuochi. Per cinque giorni si rimpinzò e poi visto che aveva tentato un paio di volte di svignarsela per ritornare dal suo padrone austriaco, abbiamo pensato di ricompensarlo del suo affetto attaccandogli questa gavetta di pasta asciutta e mandandovi questo biglietto.
Siamo sicuri che il cane, conosciuta la strada, ritornerà ancora da noi per rimettersi in forma e in tale occasione vogliamo chiedervi se in contraccambio ci potreste inviare un pò di rhum, che sappiamo avete in abbondanza, e qualche sigaretta che sappiamo molto buone. I soldati del battaglione di bersaglieri che avete di fronte ».
Il Primo Tenente, messosi d'accordo con altri suoi colleghi, il giorno dopo riattaccò la gavetta al collo dell'animale, riempita con una « feldflasche » (boraccia) di rhum e qualche pacchetto di « Memphis ». La bestia, come avesse capito la sua missione, partì al galoppo e sparì nel bosco fitto di abeti che separava le due linee. Ritornò il giorno dopo con un altro rancio (questa volta carne lessa in brodo e una pagnotta).
La faccenda continuò così fino a tré giorni prima del Natale, quando il cane, di ritorno dalle linee italiane, portò fra il resto, un altro biglietto. Si ringraziava dei contraccambi in sigarette e rhum, si ringraziava per aver saputo il nome del cane e si faceva gli auguri per il prossimo S. Natale, accennando, discretamente, alla possibilità che, oltre al cane, potesse far visita alle baracche italiane anche qualche « camerata » austriaco che conoscesse qualche parola di italiano. Gli Austriaci non se lo fecero dire due volte e, messisi d'accordo, col solito tramite « canino », la notte del Natale 1916 percorsero il breve tratto della « terra di nessuno >, preventivamente loro indicato dai bersaglieri e con molta meraviglia si videro accompagnati in una baracca illuminata e addobbata con festoni natalizi, accolti con molta cordialità dai loro avversari. Non conosco i particolari della «Siesta »; certamente vennero vuotati numerosi fiaschi di vino, venne dato fondo alle diverse «feldflaschen» di rhum e poi, dopo una lauta cena, resi euforici dall'alcool commisero una grossa corbelleria che costò loro la fine di quella
incerta tranquillità di cui avevano goduto fino allora nelle linee del Civeron. A un certo punto, addossati ai tavolone ancora illuminato da molte candele, si misero in posa e scattarono alcune fotografie da una parte e dall'altra come ricordo.
Tutto era andato per il meglio fino allora, perche' anche gli ufficiali direttamente a contatto con quelle truppe ne fossero al corrente, non avevano creduto di prendere provvedimenti, data la situazione speciale di quel settore di fronte.
Ma la corbelleria la commisero i soldati delle due parti, che, sviluppate le fotografie così compromettenti, le spedirono alle loro famiglie! Naturalmente le lettere vennero prima censurate dai relativi comandi, che, allibiti da quell'« orrendo spettacolo » di fraternizzazione al fronte, corsero subito ai ripari. Una inchiesta da parte austriaca venne subito organizzata: vennero sequestrate le foto rimaste e le negative. I singoli comandanti furono posti sotto processo ed il Primo Tenente von Burggasser, potè salvarsi dal processo davanti al Tribunale Militare, solo per l'intervento di suo padre, generale comandante una divisione di fanteria sul fronte russo. Tutto il battaglione, però, colpevole della « fraternizzazions » venne immediatamente ritirato dal Civeron e inviato per punizione nell'inferno del Carso, dove la vita ne d'estate ne d'inverno, valeva più di « una cicca »!
Da notizie trapelate dopo la guerra, pare che anche il battaglione di Bersaglieri abbia subito la stessa sorte e sia stato inviato sul fronte del Carso.
E del cane? Il povero e incolpevole Togo dovette seguire il suo padrone, sull'altro fronte molto più pericoloso e lì venne adibito al traino delle slitte porta munizioni in alta montagna. Qualche tempo dopo, una valanga provocata dallo scoppio di un proiettile, lo seppellì assieme con diversi suoi simili sotto la coltre della « morte bianca ».
Il fatto che ho raccontato, sta a dimostrare che anche nelle situazioni più tragiche e più crudeli, l'uomo, se lasciato a se stesso senza ordine di uccidere proveniente dallo alto, non conosce odio e vede nell'avversario un uomo come lui e come lui vuoi vivere in pace con tutti!
GiOVANNI LIMANA
Voco Amiche Feb - Mar 1966